Spazi sacri e modalità di preghiera
Il mio approccio allo yoga è sicuramente molto fisico e occidentale.
Questo è dovuto alle mie esperienze. Ai maestri e agli allievi che ho incontrato fino adesso.
Certo personalmente leggendo, studiando e praticando ho sperimentato sensazioni più sottili di armonia e di ascolto.
Però per trasmetterle ci vado in punta di piedi. Certe cose vanno provate e ci vuole tempo.
Io posso essere il tramite, posso essere una facilitatrice di questo cammino.
Ed è quello che amo di più.
Con il filtro di quello in cui credo profondamente e che sento giorno per giorno trasmetto e indico movimenti che sono fondamentalmente una modalità di vita.
Questa modalità è diventata per me preghiera. Il tappetino il mio tempio. Lo spazio sacro per connettermi in profondità con tutto quello che mi circonda. Per sentirmi parte integrante e in sintonia con me stessa e gli altri.
Un luogo senza tempo. O forse con il giusto tempo.
Dove il presente si manifesta insegnando la realtà e il superfluo. Nutrendo la coscienza.
E’un processo che a volte destabilizza e va trattato con cura e rispetto.
E con il tempo diventa la risorsa a cui tornare per sentirsi a casa.
Dai miei maestri Francesca Cassia e Roberto Milletti ho imparato a creare sequenze come mandala da vivere e distruggere alla fine di ogni lezione. Questo per coltivare la libertà e non il attaccamento. Per perseguire un fine nel presente e poi cambiarlo ogni volta rinnovandosi.
Un grande insegnamento che regala elasticità e resilienza.
Mi piace credere che ognuno abbia la sua preghiera che lo faccia stare meglio nella propria vita. Qualcosa in cui credere da trasmettere con l’esperienza e senza inutili estremismi.
Per creare fiducia, unione e benessere.